essenza-ki-spirito, calligrafia di Bruno Brugnoli
La via (del corpo) per affrontare il conflitto
La pratica dell’Aikido offre spunti concreti per esaminare consapevolmente le dinamiche relazionali, generando connessioni rilevanti tra la pratica sul tatami e una visione integrante delle criticità nei rapporti.
Al link che segue è possibile visionare per intero un importante contributo del M° André Cognard (“La via del corpo”), in cui il famoso maestro transalpino esamina le tematiche inerenti alle possibili interpretazioni del “conflitto” riscontrabili nel pensiero di O’Sensei e di uno dei suoi più grandi discepoli, Kobayashi Hirokazu (1929-1998)
André Cognard
Seguono in anteprima due brani dell’articolo presente al seguente link
http://www.aikidofujiama.it/kobayashi-ryu-aikido/la-via-del-corpo/
Il conflitto è creatore.
La sola vittoria giusta è quella che non genera vinti.
Il conflitto è creatore, il che significa che esso non riguarda solamente l’attaccante e che esiste un’alternativa al conflitto e la risoluzione senza violenza di quest’ultimo ci permette di definirla e di esprimerla. Ciò ci introduce senz’altro al concetto di compassione per l’altro, che per questo motivo non può più essere l’autore esclusivo della sua violenza. Di qui l’idea di vittoria senza vinti.
Ueshiba Morihei si riferiva a tre concetti pertinenti a piani diversi per pervenire al controllo dell’avversario :
• Il corpo deve essere allenato e consolidato per mezzo di pratiche specifiche;
• Lo spirito deve essere aperto ad una concezione di sé e del mondo, per mezzo della pratica religiosa e di una gestualità ritualizzata, propizia allo sviluppo della compassione (influenza buddista?);
• La coscienza deve applicarsi per far fare al corpo i movimenti giusti, cioè quelli che, ispirati dall’osservazione della natura, non sono portatori di una violenza propria all’uomo.
O’Sensei
Foto: Jason deBono – http://www.aikidogozo.com/about-us/hirokazu-kobayashi
Kobayashi Hirokazu ha dispensato un insegnamento conforme alla tradizione giapponese per quanto concerne il metodo. Ha mostrato spesso, spiegato raramente e utilizzato più spesso la metafora che il discorso razionale. L’insegnamento passava attraverso il silenzio, il corpo e la sensazione. Tuttavia precisava verbalmente, e molto di frequente alcuni punti concernenti l’etica dell’aikido :
l’Aikido non appartiene a nessuno, il fondatore l’ha voluto universale e non esclusivamente giapponese;
l’Aikido non è in alcun caso uno sport, non deve allontanarsi dal budo;
l’Aikido non è legato ad alcuna religione, non allo shintoismo piuttosto che al buddismo o all’Omotokyo, e non può in alcun caso essere una religione;
in Aikido non ci si difende, non si prende una guardia, non si guarda l’attacco. Non si domina, non ci si sottomette e non si fanno compromessi;
l’unica strategia è che il cuore dell’aggressore cambi quando ci tocca : « aite no kokoro kawaru ». Affinché questo avvenga, bisogna donare prima di ricevere;
l’aikidoka deve concentrarsi innanzitutto su due punti : non ferire mai l’attaccante, pensare che colui che attacca sta facendo una richiesta di aiuto, una domanda d’amore, che utilizza l’ultimo mezzo possibile, quando il conflitto ha tagliato qualsiasi relazione, per ricreare un legame;
l’aikidoka deve ringraziare per l’attacco e compiere il gesto che fa bene ad entrambi.
Egli illustrò quest’ultimo punto attraverso le consegne di meditazione che diede agli aikidoka : «Restate concentrati sull’idea di ringraziare senza limiti, quali che siano i pensieri e gli avvenimenti ai quali tali pensieri si rapportano. Dite arigatai (testualmente: “vi ringrazio”) fino a sentire il vostro corpo pieno di energia, poi yoku naru (“che ciò diventi il bene!”, “che tutto migliori!”) senza limitare questo augurio in nessuna maniera».
Aveva l’abitudine di dire: « Per colui che applica questa regola, Dekinai koto wa nashi » (“niente è impossibile”).
Ha anche detto molto chiaramente che questo insegnamento non era derivato da alcuna dottrina, che non si riferiva ad alcun antico principio. Veniva naturalmente dal corpo di colui che praticava mettendo nella pratica la propria anima « Tamashi wo irete kudasai » (“metteteci la vostra anima”).